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Intervista con il regista Gianni di Gregorio: il suo viaggio nella terza età tra ironia e malinconia

di Emanuele Bigi

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2 settembre 2008

"Pranzo di Ferragosto", dell'esordiente cinquantanovenne Gianni Di Gregorio, è una delle sorprese della mostra. Inserito nella Settimana della critica il film sembra che stia seguendo le sorti de "La ragazza del lago", che proprio da questa sezione ha costruito il suo fortunato destino. Costato 500 mila euro, prodotto dall'Archimede di Matteo Garrone, in collaborazione con Rai Cinema, "Pranzo di Ferragosto" (dal 3 settembre nelle sale) ha per protagoniste quattro vecchiette ultraottantenni che tengono lo spettatore incollato allo schermo per la loro simpatia. Ad accudirle, per un giorno, è il sessantenne Gianni (Di Gregorio) che vive a Trastevere con la madre vedova, interpretata dalla novantatreenne Valeria De Franciscis. Proprio ventiquattro ore prima della festa dell'estate l'amministratore di condominio propone a Gianni di accudire la mamma Marina (Marina Cacciotti), in cambio scalerà i debiti condominiali. Accettare è d'obbligo, vista la condizione economica precaria. Ma la signora viene accompagnata dalla zia Maria (Maria Calì), ottantacinquenne, anche lei abbandonata dal figlio e dunque costretta ad accasarsi. E non è tutto, il dottore di famiglia chiede un favore a Gianni, indovinate un po'? Accudire per un giorno la mamma Grazia (Grazia Cesarini Sforza). Inizia così un racconto ironico e malinconico su un universo troppo spesso abbandonato a se stesso.

Come è iniziato questo viaggio?
Dalla mia esperienza di vita, per dieci anni ho accudito la mamma vedova. Sono partito da qui, da un periodo che mi ha profondamente segnato, i ricordi dolorosi e complicati li ho rimossi dal film, ho puntato sulla risata evitando la retorica, è stata una sorta di esorcismo. Anche se non mancano momenti di riflessione.

Sembrerebbe sia riuscito a gestire queste quattro forze della natura.
Mi hanno fatto un po' impazzire. Scherzo! Hanno dato un apporto decisivo alla realizzazione del film, ho cercato di carpire molto dai loro caratteri, dai loro atteggiamenti. Io e Massimo Gaudioso abbiamo costruito la sceneggiatura quasi giorno per giorno a seconda degli stimoli che comunicavano, ovviamente senza lasciarci troppo andare, tenendo sempre le redini della storia. Cercavo di rubare la loro convivenza reale durante le quattro settimane di riprese. Ovviamente ci sono stati momenti in cui dovevo equilibrare l'ago della bilancia, se avevo bisogno di armonia non mi serviva dissapore. Erano più da ridimensionare che da stimolare.

Qual è stato il criterio di scelta?
Collaboro da anni con Matteo Garrone (come aiuto regista e sceneggiatore ndr),Valeria ha partecipato al suo film "Estate romana", la conoscevo già, ricordo che doveva interpretare una parte in cui doveva pronunciare dieci parole, invece ne ha dette cinquemila. Mi ha stupito da subito. Grazia è mia zia, lo devo confessare, mentre Marina e Maria le abbiamo trovate ai centri per anziani di Ostia e del tuscolano, lì abbiamo organizzato una vera e propria selezione. Garrone mi ha aiutato molto in questo frangente e mi ha dato coraggio.

Nel film c'è molta ironia ma anche una certa riflessione sulle condizioni degli anziani e sulla loro precarietà economica.
Mi fa piacere che fuoriescono questi elementi, per me sono importanti, fanno parte della mia vita. Mi sembrava giusto scherzarci sopra ma l'abbandono degli anziani è una tematica che coinvolge l'intera società. Mi interessava anche l'aspetto della tolleranza e del rapporto tra i sessantenni e i loro genitori, spesso si scoprono adolescenti.

La troviamo anche nei panni di attore, complimenti due volte, era stabilito sin dall'inizio che avrebbe interpretato Gianni?
No, a dire la verità non avevamo molto tempo, dovevamo partire con le riprese e mi sono buttato. Spesso lavorare con piccoli budget ti costringe a scelte che altrimenti non avresti fatto. Da ragazzo ho studiato un po' recitazione, ma sono una persona timida e non mi amo a tal punto da mettermi in prima fila. Però è capitato.

Il film è ambientato in una casa a Trastevere. Qual è il suo rapporto con il quartiere?
Ho sempre vissuto qui, la casa che si vede nel film è di mio padre, è il luogo in cui ho accudito mia madre. Ricordo che da ragazzo con gli amici facevamo il bagno nella fontana del Gianicolo, era la nostra piscina. Credo che a Trastevere sia rimasta l'ultima scheggia del popolo di Roma che non si muove più a cavallo ma con il motorino.

Ed ora cosa l'attende?
Ho già in mente una storia, sto pensando di ritrarre il rapporto dei sessantenni con l'eros, un elemento con cui bisogna fare i conti tutta la vita. Mi piacerebbe affrontarlo sempre con toni comici.

E sarà lei il protagonista?
Ci potrei provare.

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